No, non si possono spegnere i riflettori sulla Repubblica del Congo dopo le vicende di questi giorni; è bene invece tenerli accesi su ciò che rimane di indegno e disumano in questo pezzo d’Africa: le miniere di coltan. Si tratta di una questione che entra nelle nostre case, nelle nostre singole azioni tecnologiche quotidiane, perché tutti nel pianeta usiamo o acquisteremo un cellulare, un televisore, un pc, un’auto elettrica, una telecamera, delle luci a led, un video-giochi, un sistema di localizzazione satellitare per viaggiare, altri magari… un missile o apparecchio nucleare. Ma tutto questo… con un costo umano elevatissimo. Vediamo perché. Una leggenda vuole che Dio, mentre stava creando il mondo e distribuendo le risorse, sia inciampato nel Kilimangiaro rovesciando sul Congo un sacco pieno di minerali. Infatti oggi questo stato è per natura una miniera a cielo aperto. Nella sua zona nord-orientale il terreno è ricco, per l’80 % delle riserve mondiali, di COLTAN (columbite-tantalite). È un minerale, una sabbia che viene raccolta in superficie, quando finiscono le rocce si comincia a scavare. Più si scende, più il coltan è puro. Giù fino ai 15/20 metri in tunnel stretti e pericolosi che spesso franano. Sei milioni di morti sul lavoro negli ultimi 25 anni. L’alta percentuale di tantalite lo rende particolarmente appetibile all’industria leggera dell’informatica e a quella pesante aerospaziale e militare poiché con esso si costruiscono i microchip, indispensabili per ottimizzare la durata delle batterie a favore del risparmio energetico. Con una politica di scoraggiamento della scolarizzazione, molti bambini vengono schiavizzati, costretti a lavorare nelle miniere radioattive in condizioni estreme morendo di fatica e di patologie polmonari. Ogni giorno uomini-schiavi “senza catene” lavorano sottoterra ignorando l’uso e l’importanza di ciò che stanno estraendo, pagati non per la fatica ma solo se riescono a trovare “l’oro nero”. Per ottenerne un chilo, sottopagato 0,22 euro, occorrono il lavoro di 5 persone e una settimana di tempo. Una volta estratto, passa prima per le mani di soldati e mercenari che lo contrabbandano verso il Ruanda e l’Uganda e poi viene venduto a compagnie d’importazione per poi arrivare alle maggiori aziende di raffinazione ed infine alle industrie di produzione e di assemblaggio delle componenti elettroniche miniaturizzate. Le grandi multinazionali dell’informatica (Apple, Microsoft, Tesla, Samsung, Sony, Siemens, Nokia, Alcatel, Hitachi…) di Usa, Cina, Europa, dopo aver acquistato a prezzo irrisorio il minerale, utilizzano parte delle vendite per finanziare governi e milizie locali congolesi, contribuendo ad alimentare conflitti armati nella lotta al monopolio. Amnesty International, Unicef ed altre organizzazioni internazionali per i diritti umani sono intervenuti da diversi anni per denunciare e frenare il lavoro minorile in questa zona, ma le miniere sono sempre là con le loro vittime del nostro benessere. Come superare la nostra impotenza personale rispetto a questa realtà che nega diritti e futuro? Come rinunciare ai consumi per evitare questo cosiddetto “olocausto africano?” Scelte possibili: sostenere progetti di scolarizzazione di bambini per sottrarli al lavoro minorile, controllare i personali consumi tecnologici boicottando l’acquisto dell’ultimo modello informatico sempre più sofisticato, promuovere l’informazione e l’adesione a campagne di sensibilizzazione su questo problema, educare a un consumo più riflettuto le giovani generazioni. Vale qui la strofa cantata da Francesco Guccini: ”Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”…




