Scrivo da Lourdes. Ormai da diversi decenni vengo in questo particolare luogo, a cavallo fra settembre e ottobre di ogni anno, e mi faccio compagno di malati e pellegrini per una ricarica di fede, per una incetta di speranza e per una immersione nell’amore fraterno. È il mio momento magico dell’anno, è il tempo del mio anticipato pezzo di paradiso.

Per la prima volta quest’anno sono arrivato molto tardi nel giorno di arrivo: poco prima di mezzanotte. Appena la possibilità di depositare i bagagli in albergo e via di corsa alla Grotta. C’era la Madre che volevo subito salutare e riabbracciare con la tenerezza di uno sguardo e il sussurro dolce di una preghiera di figlio. Oh quanto avevo bisogno di quell’incontro, anche se solo per pochi minuti. Pochissime persone presenti. Meglio: sei tutta per me, Madre.

La temperatura frizzante della notte e un vento che veniva dal fiume Gave alle mie spalle mi portava il respiro umido del fiume, un respiro che faceva tremare tutti i ceri del grande candelabro posto davanti alla Grotta. Molti ceri non avevano resistito alle folate improvvise di vento e si erano già spente. Ma alcuni ancora resistevano, tenacemente. Un cero in particolare ha attirato il mio sguardo: il vento gli assottigliava la fiamma, poi riprendeva la sua piena luce, poi di nuovo sembrava spegnersi, poi riacquistava il suo rosso colore. Una folata più forte quasi lo azzerò del tutto; no, si riprese, testardo, caparbio, ostinato. Sembrava dire: devo rimanere acceso, fino a consumarmi del tutto lentamente.

Ho visto in quel cero la fatica della mia fede spesso tentennante e pronta a mollare di fronte ai venti forti di certe crisi alimentate dal dolore e dalla scarsa fiducia nella paternità di Dio. Ho visto come la mia speranza spesso crolla quando l’ottimismo sembra utopia in un modo di ingiustizie e di violenze gratuite. Ho visto il mio amore fare una estrema fatica ad uscire dal guscio duro del mio egoismo per una relazione capace di abbracciare tutti.

Quel cero incalzato ma non vinto dal vento mi ha insegnato più di quanto pensassi.
Poi ho alzato lo sguardo sulla immagine di Maria.
In fondo era lei che mi parlava.
E l’amara risposta continua!
don Vincenzo Catani