Due sono state le parole ricorrenti di questo anno critico ormai concluso che ci accompagneranno anche nel 2024 e oltre: POLICRISI (concatenazione di problemi) e PERMACRISI (condizione di crisi permanente) entrambe legate a un panorama di rischi tutti connessi legati all’energia, al cibo, ai debiti, ai disastri naturali, alla perdita di coesione sociale, come già riportato nel Global Risk Report del WEF(=World Economic Forum). Mancanza di cibo, acqua  e salute ne sono gli effetti tangibili che si toccano con mano nei punti più deboli del pianeta. E tutto ciò porta a un solo risultato: la DISUGUAGLIANZA.

La disuguaglianza non conosce crisi” lo denuncia l’OXFAM, movimento che opera da anni per porre argine alla povertà e all’ingiustizia. Alessandro D’Avenia, scrittore e sceneggiatore legato alla figura di don Pino Puglisi riflette così : “La permacrisi può ridiventare una rinascita: non finisce il mondo ma un mondo, perché ne nasca uno più autentico. Sta a noi decidere e, nel nostro ambito di azione, far venire al mondo questo mondo nuovo o lasciarci paralizzare dalla paura (non resilienza ma resistenza, cioè ri-esistenza, esistenza nuova)”.

Perciò non vanno persi di vista i vari fronti in cui si delineano tante crisi planetarie per questi prossimi anni e che si tendono a dimenticare o sostituire ogni volta che la storia quotidiana ci presenta nuovi fatti, come ben lo dimostra l’attenzione globale prima tutta centrata sull’Ucraina e ora quasi cancellata dalla guerra in Medio Oriente. L’ONU ad esempio si dice particolarmente preoccupata per la situazione in Darfur, precipitata in questi ultimi mesi, dove i bambini con le madri soffrono di grave malnutrizione e i campi per sfollati sono stati rasi al suolo.

Le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite hanno lasciato il Darfur quando è scoppiato il conflitto nell’aprile 2023 e molte delle loro strutture sono state saccheggiate o distrutte.  Molti operatori umanitari sono stati uccisi, mentre altri lavorano in condizioni estremamente difficili per sostenere i civili del posto. Circa 50mila persone sopravvivono da mesi in rifugi di fortuna, senza alcuna assistenza o servizi di base, nella zona orientale del Ciad al confine con il Sudan.

Lo scoppio del conflitto sette mesi fa in Sudan ha portato ad “una convergenza tra un peggioramento della calamità umanitaria e una catastrofica crisi dei diritti umani”, secondo un alto funzionario delle Nazioni Unite. Quasi nove milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria e i rapporti suggeriscono che circa 4.000 persone sono state prese di mira e uccise a causa della loro etnia. Ora si teme che il Darfur stia tornando agli anni di combattimenti brutali e di crescenti atrocità testimoniate l’ultima volta due decenni fa, che provocarono la morte di circa 300.000 persone e milioni di altri sfollati.

«L’Europa e il mondo ricco hanno gli occhi puntati altrove, ma nella regione sudanese è in  corso una tragedia senza precedenti da arginare immediatamente, anche per evitare ulteriori escalation»( Ennio Miccoli, direttore di Coopi). Che lo sguardo di solidarietà quindi  abbracci un po’ tutti, sia i lontani, sia i vicini riflettendo sulle parole dell’esploratore ambientalista Robert Swan che dice:” La più grande minaccia per il nostro pianeta è la convinzione che lo salverà qualcun altro”.