Proprio così: già tre anni fa (era il 2020 quindi prima dei fatti del 7 ottobre 2023 fra Israele e Palestina), chi aderiva al movimento BDS Italia (=Boicottaggio-Disinvestimento-Sanzioni) si rifiutava di acquistare per Natale un paio di calzature o una tuta Puma, la terza azienda leader del settore sportivo internazionale, sponsor di numerose squadre di calcio anche ai mondiali. Il motivo: boicottare con una pressione ininterrotta e globale i prodotti di quell’azienda che sponsorizza la nazionale israeliana e quindi è complice dell’apartheid a danno della popolazione palestinese.
La proposta era nata da 215 squadre palestinesi. Poi lo scorso mese l’annuncio: la decisione della Puma di disinvestire sulla squadra di Israele dal dicembre 2024, precisandone comunque la ragione solo commerciale e non politica. Forse le vendite sono diminuite? Certo, un ottimo risultato per chi, da comune cittadino, ha voluto eliminare in questi anni il sostegno a ditte e marchi che attraverso l’economia mondiale sono complici di realtà lesive di Diritti Umani. Infatti per chiunque voglia aderire “nel suo piccolo” ad un’azione di protesta individuale, il boicottaggio consumistico è una presa di posizione individuale che crea un movimento collettivo a macchia d’olio con azioni di protesta silenziosa e quotidiana.
Queste campagne di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) sono uno strumento per la pressione politica ed economica, nato dal basso, proprio al tempo della costruzione illegale del muro in Cisgiordania nel 2004. Il movimento BDS sostiene la parità di diritti perciò si oppone ad ogni forma di razzismo, fascismo, sessismo, antisemitismo, islamofobia, discriminazione etnica e religiosa utilizzando il metodo del boicottaggio mirato ispirato al movimento anti-apartheid. Gli obiettivi nonviolenti riguardano marchi e sigle che quotidianamente utilizziamo: da HD Hyundai/Volvo, (macchinari utilizzati da Israele nella pulizia etnica e nello sfollamento forzato dei Palestinesi attraverso la distruzione delle loro case, fattorie e imprese), a Google e Amazon i cui dirigenti hanno firmato nel 2021 un contratto da 1,22 miliardi di dollari per fornire tecnologia al governo israeliano e all’esercito che nel frattempo bombardava case, ospedali e scuole a Gaza. Così come acquistare innocentemente un elettrodomestico Siemens vuol dire contribuire a realizzare l’Asia Interconnector, un cavo elettrico sottomarino che dovrebbe collegare le colonie illegali israeliane all’Europa. E ancora marchi che ci ricordano compagnie assicurative, banche, società petrolifere, fabbriche di armi, grandi appaltatori e compagnie immobiliari, fino al nostro panino McDonald’s e alla nostra stampante HP.
Uno dei fondatori e leader del movimento BDS, Barghouti, ci ricorda: “L’obbligo etico più profondo in questi tempi è quello di agire per porre fine alla complicità. Solo così possiamo davvero sperare di porre fine all’oppressione e alla violenza”…Basta. È ora di boicottare…”.