Chi ha visto il bellissimo documentario di F. Rosi “In viaggio” sa che per Papa Francesco peregrinare è accendere i riflettori per “esserci”, là dove chiama il grido di aiuto di tanti popoli e comunità spesso inascoltati e ignorati.
Dal 31 gennaio al 5 febbraio questo sarà il primo Papa, dopo 37 anni a ritornare nella Repubblica Democratica del Congo, primo in assoluto a toccare il suolo del Sud Sudan, il Paese più giovane del mondo dall’ indipendenza del 2011.
Don Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Cristiana di Assisi, ha sostenuto che ”Il Papa oggi è la vera scorta mediatica della Repubblica Democratica del Congo”.
Un viaggio voluto ostinatamente nonostante un primo rinvio. “Prego perché tutti siano una sola cosa(Gv 17)” è il motto di questa nuova partenza ma Francesco nel dichiarare che “L’Africa, è un continente da valorizzare non da saccheggiare” si ripropone molto di più: evidenziare le conseguenze delle guerre etniche e internazionali in questi due Paesi”.
Poco si sa invece dalla stampa del lavoro invisibile ma costante degli attivisti che anche in Italia supportano le ragioni di questo viaggio. Ad es. la “RETE PACE PER IL CONGO”, un gruppo di missionari e laici che per anni ha vissuto in Congo e ora presente in Italia per sensibilizzare sulla tragedia della guerra congolese.
Nella conferenza stampa dello scorso 25 gennaio, ignorata dai media, con una rappresentanza di 107 comitati e associazioni hanno richiamato l’attenzione sui crimini compiuti negli ultimi 30 anni e l‘urgenza di smilitarizzare il territorio e attuare il Regolamento europeo del 2017 finalizzato a bloccare l’importazione di minerali che provengono da aree del conflitto indispensabili all’alta tecnologia dei Paesi Occidentali, interessati ad appropriarsi delle grandi risorse naturali del Congo a scapito dei legittimi proprietari della terra.
Significativa la dichiarazione di John Mpaliza, congolese in Italia: ”Le ricchezze del Paese sono diventate una maledizione “. Così come ha anche affermato Pierre Kabeza, ex sindacalista difensore dei diritti dei bambini nel suo Paese e rifugiato in Italia: ”Mantenere il Congo nel caos è un vero business internazionale”.
Un’altra voce si è levata in questi giorni, quella di “Azione Contro la Fame” che ha condannato le violenze contro i civili in una zona nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo con già più di 1,5 milioni di sfollati in estremo disagio.
Punti di riferimento per i congolesi sono anche Micheline Mwendike, scrittrice e attivista del movimento LUCHA premiata come “Ambasciatore della Coscienza” nel 2016 e Denis Mukwege, premio Nobel per la pace, attivista e pastore protestante congolese, un medico che lotta contro gli stupri come arma di guerra, mobilitandosi per sensibilizzare ad intervenire con azioni di giustizia internazionale.
Infatti il mondo capirà meglio cosa sta succedendo in Congo solo se i Congolesi riusciranno ad istituire un tribunale penale internazionale che si occupi dei crimini commessi in questo paese da più di venti anni, (obiettivo già presente ma non attuato nel Rapporto del Progetto Mapping relativo alle violazioni dei diritti dell’uomo.
Anche in Sudan operano attivisti come il gruppo di artisti“Ana Taban” (tradotto =non ne possiamo più ) che con la canzone “Disappear” ha lanciato un progetto dedicato alla memoria delle vittime morte e quelle scomparse della guerra civile. A Juba in Sudan, Papa Francesco ha in programma una preghiera ecumenica al Mausoleo “John Garang”, compianto leader del Sudan People’s Liberation Movement/Army e primo vice presidente del Sudan.
Il Papa incontrerà il presidente Salva Kiir, già ricevuto a Santa Marta nel 2018 nel famoso ritiro di preghiera con i leader sud-sudanesi dell’opposizione, rimasto impresso alla memoria collettiva per l’inedito ed eclatante gesto del Pontefice di chinarsi a baciare i piedi dei politici.
Un viaggio quindi sostenuto dalla società civile che opera per piccoli, costanti e rivoluzionari passi verso la riconciliazione